25 dicembre 2010

Three to get ready

La cosa che odiavo di più era quando il getto della doccia diventava improvvisamente freddo. Succedeva durante tutto l'anno, ma me ne rendevo conto solo in inverno. Era un inconveniente dovuto ad un difetto delle tubature, che prima di arrivare al bagno passavano per la cucina dell'appartamento di sotto. Ci vivevano due francesi, nell'appartamento di sotto, avevano una bambina piccola e cucinavano tutto il giorno. Mi rubavano l'acqua. La temperatura calava di colpo, passava dai trentacinque ai quindici gradi senza preavviso. Io allora mi lanciavo contro il muro, aderivo con la schiena alle piastrelle alzandomi in punta di piedi per non prenderne neanche un poco, di quell'acqua gelida. Osservavo il getto, allungando di tanto in tanto una mano per sentire se era tornato caldo. Era un gesto vano, una domanda retorica, perché intanto le gocce mi schizzavano impietose sulle cosce, facendomi venire la pelle d'oca. Ogni tanto lo sbalzo di temperatura mi faceva piangere. Quando sentivo farsi strada tra le mie scapole il rivolo gelato, mentre avevo i capelli ancora coperti dal sapone che stavo massaggiando, mi scoppiavano in petto una serie di singhiozzi brevi e veloci, a metà strada tra una risata e una protesta. Strepitavo forte, ritraendo con stizza le dita dei piedi, poi un attimo dopo mi sentivo stupida, ammutolivo. Restavo così, a fissare l'acqua corrente spingendomi il più possibile contro il muro, per minuti eterni che continuavano ad accumularsi uno sull'altro. Era l'esperienza più simile alla fede che avessi mai provato, quella disperata attesa dell'acqua calda.